L’opera qui esposta nasce a seguito di relazioni condivise con diverse attività commerciali di Padova -da considerarsi a tutti gli effetti partecipi della realizzazione dell’opera- che hanno fornito a Martina Biolo i diversi oggetti sui quali lei ha poi sviluppato l’intervento artistico. Coinvolgendo la zona adiacente a Piazza Alcide de Gasperi, oltre al centro storico, ogni oggetto raccolto è stato calcato e successivamente riprodotto in ceramica smaltata.
L’artista crede in una relazione precaria tra le persone e gli oggetti di consumo: ognuno di questi, infatti, è uno scarto di magazzino. La proposta di Martina non è solo quella di “salvare” la memoria di questi scarti industriali, ma anche quella di consentire ai loro proprietari di rivalutarli: al momento della concessione all’artista, quegli oggetti, rotti o usurati – e quindi anche inutili– acquisiscono una nuova forza. Proprio questa loro rinnovata energia porta chi li ha posseduti a interrogarsi sulla loro relazione passata, che si credeva essere segnata solo dall’utilità ad uno scopo pratico.
Attraverso l’atto scultoreo, l’oggetto reale -e il prodotto industriale nel quale si identifica- lascia posto al suo nuovo essere, imperfetto e frutto della casualità: proprio per questa accidentalità, Martina non si è posta il problema di riprodurre l’esatta copia dell’oggetto, accettando così la contingenza del processo. Come quando riaffiora un ricordo, sfocato e nebuloso, l’opera di Martina non restituisce la perfezione dell’oggetto iniziale, ma una visione delle insicurezze del mondo reale, alimentando la magia del ricordo.
L’illuminazione della sala determina la percezione dell’opera e del contesto: la penombra ricorda lo spazio da cui sono stati prelevati gli oggetti, cioè il magazzino (questa rappresenta la zona remota del ricordo, soffocata e sfumata); il centro dello spazio è invece illuminato e qui queste ceramiche si manifestano e si cristallizzano, distaccandosi dal normale flusso temporale. L’artista, infine, ha voluto che gli oggetti fossero custoditi in lastre di polistirolo, come a volerli riportare alla loro condizione iniziale e contribuendo al loro “svecchiamento”: non più morenti scarti, ma nascenti corpi in ceramica, portatori di ricordi, relazioni, significati e segreti che, pur divenuti eterni attraverso l’atto artistico, non potranno mai essere totalmente svelati.
TESTO di Nicole Lovato e Giulia Fornea
Delving deeper into a relational approach that had already been present in her research, the artist obtained the participation of shopkeepers from her Padua hometown by asking them to hand her some of the everyday objects that they no longer intended to use. Starting from this collective ar- chive of objects, united by the transience and de- cay of their original function, the artist produced casts and arranged the various objects in a sort of museum deposit. She installed them inside poly- styrene forms, almost as if granting them a new preciousness through this act of protection.
text by Gaia Bobò
Quello che ci è rimasto (rievocazioni collettive) — 2022.
Installazione site-specific, terracotta, cristallina, polistirolo, led, dimensioni variabili, Step by Step, veduta della mostra, foto Jacopo Zambello
Site-specific installation, terracotta, crystalline, polystyrene, LEDs, variable dimensions, Step by Step, exhibition view, photo Jacopo Zambello